Quello di “privacy” è un concetto molto controverso in un mondo dove anche andare a fare la spesa diventa cosa pubblica…
Voglio condividere tutto, ma non voglio si sappia nulla di me. Il modo di ragionare tipico dei giorni nostri è questo. Ci infastidisce la gente che ci guarda il profilo, vogliamo che siano pochi eletti a sapere cosa stiamo facendo. Allora si imposta il profilo privato, si aggiungono i filtri per la condivisione. Ma poi, molto spesso, si accettano richieste dai peggiori sconosciuti. E’ tutto un ragionamento controverso…vogliamo privacy, abbiamo spesso fame di privacy. Ci indigniamo se sappiamo che i nostri dati sono stati rubati eppure, sono lì in bella vista.
Postare qualcosa vuol dire…renderla pubblica. Sto rendendo pubblico il mio giardino? Allora non devo incavolarmi se qualcuno ci entra, altrimenti sarebbe privato. Il fatto che i dati siano già di per sé messi in rete, fa logicamente pensare che chiunque possa prenderli per indagini commerciali…tanto sono pubblici!
Allora, prima di pretendere il diritto di tutela dei dati personali, iniziamo prima a ragionare su cosa rendere pubblico. Vale davvero la pena far sapere dove sono oggi, o mettere la foto dei miei figli online, o far sapere a che ora esco (e farmi derubare pure in casa)? Meglio prevenire, specie in fatto di privacy, che curare. Se so che mettendo i dati in rete chiunque può farci ciò che vuole, sono davvero sicuro di farlo?
Come rende noto Verisure, società leader in Europa nel mercato degli allarmi, addirittura il 75% dei ladri – vale a dire tre su quattro – si avvale dei social peridentificare le potenziali vittime, capire cosa possiedono, dove vivono e quanto tempo trascorrono fuori casa. Se su Facebook il metodo privilegiato è la visita sul profilo e il reperimento di dati sensibili e foto utili a conoscere la localizzazione del malcapitato, su Instagram i ladri ricorrono ai “follow” per seguire le persone che intendono derubare o inseriscono tag come #natale2016 per scoprire chi, con quel tag, ha pubblicato le immagini delle proprie vacanze, comunicando così di non essere a casa.
Non dico che dobbiamo tutti avere un profilo “di clausura” senza immagini né contenuti, ma di essere più selettivi. Iniziare ad effettuare un filtraggio dei contenuti già prima di postare. Questo perché in rete, tutto ciò che viene caricato rischia di lasciare tracce indelebili anche dopo averle, in apparenza, cancellate.
E’ un articolo che dice cose che possono apparire ovvie, ma nella pratica non lo sono. Prima di fare un post, prima di caricare una storia…conta fino a 10 e chiediti “ma serve davvero farlo sapere a tutti?”. Questo significa tutelare la propria privacy. Perché non devono essere sempre lo Stato o Zuckemberg a difendere i nostri dati, ma noi prima di tutto.

Blogger e scrittore ventenne nato a Taranto. Collabora con diverse agenzie di marketing digitale e operativo. Ha pubblicato il manuale Windows 10: Guide e Soluzioni e il libro di narrativa storica Cronache di un Palazzo Abbandonato.